Il Green Deal europeo ha come pilastro fondamentale l’idea di un’economia circolare sempre più sviluppata e diffusa. Ciò nonostante, in Italia non emergono ancora in modo significativo proposte e misure concrete che ne promuovano uno sviluppo sostenibile. Sono tanti gli esempi che si possono citare e tra questi il credito d’imposta previsto dal Piano transizione 4.0 a sostegno dei finanziamenti per la transizione all’economia circolare, è fissato ancora ad un livello basso, pari al 10% dell’investimento. A questo si va ad aggiungere poca attenzione e trascuratezza nei confronti dei processi legati al riciclo dei rifiuti (“end of waste”) che, invece, dovrebbe aumentare notevolmente perché sono un ottimo modo per risparmiare materie prime vergini ed energia.
Attualmente in Italia le modalità vigenti per la regolamentazione End of waste, sono due: la predisposizione dei decreti ministeriali e le successive autorizzazioni regionali caso per caso. Come è facile immaginare, la via dei decreti ministeriali in Italia è lunga e complicata (in alcuni casi va avanti da oltre 6 anni). La lista dei decreti che attendono l’approvazione ad oggi è ancora molto lunga, ve ne sono almeno 15: il decreto per il riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione, quello per il riciclo della carta da macero, quello del pastello di piombo, dei rifiuti di gesso, dei rifiuti inerti da spazzamento strade, del pulper, quello relativo a bioremediation e soil washing per il recupero dei terreni sottoposti a bonifica, per gli oli alimentari esausti, per il vetro sanitario, per i fanghi da forsu e per la produzione di olii, per la vetroresina, per le plastiche miste con recupero meccanico, per le plastiche miste con recupero chimico, per le ceneri da altoforno e per i residui da acciaieria.
A novembre dello scorso anno è stato fatto un piccolo passo in avanti grazie all’approvazione della legge 128 che ha stabilito che le Regioni, nei casi non regolati a livello europeo o con decreto nazionale, possano autorizzare, caso per caso, attività di riciclo che comportino la cessazione della qualifica di rifiuto, applicando le condizioni e i criteri dettagliati stabiliti da una direttiva europea. Purtroppo, però, per un passo in avanti fatto ve ne è anche uno indietro. Infatti la nuova legge ha aggiunto, ai controlli ordinari già vigenti su tali autorizzazioni e sul loro rispetto, un ulteriore regime, speciale e macchinoso, di controlli di secondo livello. Tale nuovo regime – non previsto dalla direttiva europea in materia e senza precedenti in Italia, rende le autorizzazioni per le attività di riciclo più complicate di quelle per lo smaltimento dei rifiuti.
Quello che succede in concreto è che l’autorizzazione end of waste rilasciata dalla Regione viene sottoposta, a campione, a un ulteriore complessa e lunga verifica che potrebbe portare a un suo annullamento, generando incertezza sull’efficacia delle autorizzazioni rilasciate, allungando i tempi e scoraggiando, anziché promuovere, nuovi investimenti. Questo genere di norme, come chiaramente indicato dalle Linee guida applicative pubblicate dal sistema SNPA – ISPRA e ARPA, attribuendo a un organo tecnico-strumentale – ISPRA e ARPA – la possibilità di contestare una decisione politica-amministrativa delle Regioni e di proporne l’annullamento al Ministero dell’Ambiente, generano anche potenziali conflitti con le Regioni e alimentano ricorsi ai TAR.
Stando così le cose e visto che nel pacchetto per il rilancio dell’economia è stata dedicata grande attenzione alle semplificazioni, è lecito chiedersi il perché di così poca attenzione in materia di semplificazione del riciclo dei rifiuti, che rappresenta il pilastro dell’economia circolare.